RAZIONALE SCIENTIFICO
L’invecchiamento è un processo biologico complesso che aumenta il rischio di malattie
degenerative legate all’età, come le demenze, tra cui la malattia di Alzheimer (AD),
la demenza a corpi di Lewy (LBD) e il decadimento cognitivo lieve (MCI).
Negli anni passati, numerosi studi hanno suggerito un’associazione tra l’insorgenza
dei sintomi tipici del MCI e della AD e alterazioni del sistema colinergico,
portando così alla formulazione dell’ipotesi colinergica secondo cui la perdita
di neuroni colinergici del proencefalo basale è alla base deficit cognitivi tipici
delle patologie correlate all’invecchiamento. Recentemente, tuttavia,
la visione di una significativa perdita di cellule colinergiche durante
l’invecchiamento è stata messa in discussione. Se questa perdita
di neuroni è stata infatti riscontrata nella AD, lo stesso non è stato
dimostrato nell’invecchiamento normale dove, al contrario, la perdita
della funzione cognitiva è causata da alterazioni funzionali dei neuroni
colinergici, tra cui una diminuzione del supporto trofico, alterazioni
dell’espressione genica e compromissione della segnalazione
intracellulare e del trasporto vescicolare (R. Schliebs, T. Arendt.
Behavioural Brain Research 2011;221:555–563).
Nell’invecchiamento cerebrale, inoltre, lo stress ossidativo
e uno stato infiammatorio cronico sono stati dimostrati essere
strettamente correlati alla compromissione della memoria
(R. Gamage et al. Front Cell Neurosci 2020;14:577912).
Conseguentemente all’ipotesi colinergica alla base delle alterazioni
cognitive, sono stati proposti diversi approcci farmacologici nel tentativo
di correggere il deficit colinergico osservato nel sistema nervoso centrale
dei pazienti affetti da MCI e da malattia di Alzheimer.
Tra questi i precursori colinergici rappresentato un approccio interessante
per il trattamento della disfunzione colinergica e del declino cognitivo nella
demenza a esordio nell’adulto. Infatti, nonostante nel corso degli anni, molti
di questi precursori siano stati abbandonati perché la loro efficacia non era
chiaramente dimostrata, alcune molecole della classe, tra cui la colina alfoscerato
(L-alfa-glicerofosforilcolina, GPC), sono state ancora recentemente oggetto sia di studi
preclinici che in trial clinici, dimostrando la loro azione nel contrastare la perdita di volume in
alcune aree cerebrali dei pazienti con AD e la perdita di performance nei test cognitivi e funzionali
(F. De Negri. Rivista SIMG 2020;27(5):64-69; E. Traini et al. J Alzheimer’s Disease 2020;76:317–329)